Progetti di conservazione

L’OASI E LA CONSERVAZIONE: CINQUANTA ANNI DI ESPERIENZA

L’Oasi, fondata nel 1973 ma già preceduta da quindici anni di esperienze in vari campi della gestione in cattività di animali, è stato il primo centro italiano che ha creduto nell’allevamento e nella reintroduzione delle specie “a rischio”, per la ricostruzione ambientale

All’epoca, ma in qualche misura ancora oggi, questa scelta era controversa. Allora chi vi si opponeva, lo faceva per un atteggiamento ideologico.Oggi la storia ha dimostrato che l’allevamento è il solo mezzo per la salvezza di specie veramente in pericolo: nessuna specie animale o vegetale in tale situazione è mai stata salvata in natura: il Panda gigante, con i suoi 2.500- 4.500 esemplari censiti NON E’ UNA SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE. E non è neppure l’urside piu raro. Viceversa, con la parziale eccezione della Gru americana, tutti i progetti intrapresi con tempo, denaro, dedizione e professionalità sufficienti, hanno avuto pieno successo

Enti pubblici, Associazioni e Fondazioni hanno allora compreso che, nell’allevamento e nella gestione in cattività della fauna, si può trovare una miniera inesauribile di denaro statale, regionale, provinciale, europeo. Purché si liberino del confronto con allevatori privati, che, con la loro passione, dedizione e costanza dimostrano ogni giorno di saper e poter fare con poco o nulla ciò che essi invece non riescono a realizzare, pur con mezzi enormi

 

L’Oasi è stata la prima (dal 1977) a riuscire nella reintroduzione della Cicogna bianca, con quasi 700 esemplari partiti da qui in 30 anni. La specie è oggi abbastanza diffusa in Lombardia e Piemonte sud-orientale e ciò è avvenuto ben prima che altri si adornassero dei nostri risultati.
L’Oasi ha rilasciato, su un arco di quasi venti anni, circa 250 Cavalieri d’Italia, ora comuni, come nidificanti, nelle nostre risaie.

 

 

 

L’Oasi è stata la prima in Italia ad applicare i metodi messi a punto alla Cornell University (Stato di New York, USA) e a riprodurre il Falco pellegrino, liberandone, con la collaborazione dell LIPU, alcuni soggetti. Incidentalmente, con l’occasione, è stata l’Oasi a importare in Italia le tecniche di determinazione delle genealogie mediante DNA e a imporre alle Autorità italiane l’uso di queste metodiche.

L’Oasi è stata la prima al mondo a riprodurre in cattività il Martin pescatore, replicando inoltre il successo, anno dopo anno e reintroducendo quindi parte degli esemplari prodotti.

martin pescatore in accoppiamento foto premoli

L’Oasi ha riprodotto circa 50 Spatole europee e ne ha reintrodotte 22, creando un piccolo stormo di esemplari che hanno poi nidificato in natura, nei primi anni proprio nei nostri boschi. Ora, oltre alla prima colonia del lago di Sartirana, se ne è formata una in un’oasi privata di Lacchiarella e se ne sta formando una terza proprio qui nell’Oasi.

Nel 1997 abbiamo liberato un primo gruppo di Mignattai, che per circa dieci anni ha nidificato nell’Oasi stessa, per poi trasferirsi nel lago di Sartirana, dando origine al primo nucleo selvatico di questa specie, assente dall’Italia da oltre cinquant’anni.

Le altre specie che alleviamo e reintroduciamo, talvolta per la prima volta in Italia, includono: Il Tuffetto, il Gheppio, l’Avocetta, l’Upupa, il Gruccione, molte specie di anatre selvatiche, le Oche selvatiche (ogni due-tre anni dal 1977), lo Scoiattolo europeo, reintrodotto con successo all’interno dell’Oasi, la Gru europea.

 

 

tuffetto sul nido

[1] La reintroduzione di una specie si considera avvenuta quando si è riusciti a ricreare una popolazione autosufficiente, cioè che si riproduce in natura, mantenendo almeno stabili i propri numeri.

[2] I regolamenti CITES, come nascono in Europa e soprattutto come vengono recepiti e applicati in Italia, sono un chiaro esempio di leggi inutilmente complicate, contradditorie e spesso ingiuste (fra le criminali follie, la seguente: la pubblica amministrazione si riserva di non riconoscere certificati da lei stessa rilasciati, a pagamento), il cui risultato principale, forse voluto, è di mantenere un controllo arbitrario sui detentori e sugli allevatori di esemplari. La prova di quanto affermiamo è nel numero di provvedimenti di repressione che vengono annullati nelle fasi successive di giudizio, dopo aver non di rado comportato la perdita o il danneggiamento degli esemplari sequestrati. Spesso gli animali sono trasportati in Centri inaccessibili al controllo degli interessati, Centri formalmente appartenenti a cosiddette Associazioni ambientali, alimentati generosamente e senza trasparenza con denaro pubblico, dove sono messi in promisquo contatto con altri soggetti delle più svariate e inquietanti provenienze, accuditi da personale saltuario e volontario, che è impossibile sia adeguato, ospitati in spazi che sono costati molto (MOLTO!) all’elargitore pubblico, ma che sono insufficienti. I regolamenti sulla detenzione sono basati su marcature che non possono che dare origine a disguidi e falsificazioni, su controlli saltuari, spesso elusi dai soliti noti, su documenti che, a differenza che negli altri Paesi Europei, arrivano in tempi biblici (salvo che ai soliti noti). Nessuno ha pensato che per eliminare ogni tentazione di inganno sulle nascite, di riciclaggio dei documenti e di ingiusti “disguidi” giudiziari (con l’aiuti di qualche magistrato ingenuo o “arruolato”, con una denuncia anonima o non circostanziata, si distrugge un personaggio che dà fastidio), basterebbe che ogni esemplare avviato alla riproduzione, ogni nascita, ogni passaggio di proprietà, fosse accompagnato da un’obbligatoria trasmissione di un campione biologico a un’Autorità centrale. Il detentore non potrebbe mai sapere se e quando i suoi dati sono stati verificati. A questo punto potrebbe -anzi DOVREBBE- emettere lui stesso (in Inghilterra si fa già in parte così) la documentazione relativa, che sarebbe “atto pubblico”. Ogni tentazione di comportamento doloso sarebbe così evitata. Ma cadrebbe anche nel vuoto il potere arbitrario di certe Autorità… Le stesse Autorità e consulenti ministeriali che si comportano in modo ben diverso quando si tratta di importare pelli e pellicce: tre milioni all’anno di pelli e pellicce, magari generosamente importate da Paesi (es.: gli USA) le cui documentazioni, per gli animali vivi, vengono sistematicamente respinte.